L'occupazione agricola in Italia si contraddistingue per la prevalenza di rapporti di lavoro instabili, di breve durata e caratterizzati da una accentuata stagionalità. In tale contesto, i lavoratori migranti, per specifiche condizioni di vulnerabilità (scarsa conoscenza degli strumenti di tutela, inidonea sistemazione abitativa, distanza dai luoghi di lavoro ecc.) costituiscono un potenziale bacino d'offerta di lavoro sottopagato e dequalificato. Nel corso dei decenni, infatti, alla contrazione del numero degli addetti in agricoltura si è accompagnata una crescita rilevante della componente migrante, considerata oramai indispensabile per la tenuta e l'esistenza stessa del settore agricolo. L’Istat stima, infatti, una quota di occupati stranieri nel settore pari al 18% (a fronte del 10% relativo al complesso dell’economia) : si tratta principalmente di lavoratori di cittadinanza non comunitaria, che incidono per il 12,5% sul complesso della manodopera del settore [ Rilevazione Continua sulle forze lavoro – ISTAT anno 2021]
Una cospicua parte di questo bacino di manodopera risulta ingaggiata irregolarmente, attraverso il cosiddetto "sistema del caporalato", espressione con la quale si fa riferimento all'intermediazione, il reclutamento e l'organizzazione illegale della manodopera nonché allo sfruttamento lavorativo (prevalentemente) in agricoltura. Tale sistema di intermediazione è presente quando è ampia la distanza tra aziende agricole e persone in cerca di lavoro e quando l'organizzazione del lavoro in squadre risulta essere particolarmente complicata. Il caporalato si presenta spesso come l'unico meccanismo organizzativo in grado di colmare quel vuoto strutturale fra domanda e offerta di lavoro.
I cosiddetti caporali, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali, fungono da intermediari con i datori di lavoro, arruolando la mano d'opera e trattenendo per sé una parte del compenso (una sorta di tangente). Tratto cruciale del fenomeno è il monopolio del sistema di trasporto, che costringe i braccianti a dover pagare anche lo spostamento verso i luoghi di lavoro.
I dati, tuttavia, fotografano solo parzialmente la progressiva crescita dei lavoratori stranieri in agricoltura, in quanto relativi ai soli lavoratori assunti con un rapporto di lavoro regolare. Sfuggono dunque alla contabilità statistica un numero consistente di lavoratori totalmente sprovvisti di tutele contrattuali (c.d. "lavoro nero") o anche occupati in modo parzialmente regolare (c.d. "lavoro grigio"). In quest'ultimo caso il lavoratore agricolo viene formalmente assunto, ma nei fatti il datore di lavoro denuncia all'Istituto Previdenziale un numero di giornate inferiore a quelle realmente svolte.
Non sono disponibili dati ufficiali sul fenomeno, ma, secondo le stime dell'ISTAT, il lavoro irregolare in agricoltura è in costante crescita negli ultimi dieci anni, attestandosi su un valore del 24,4%, quasi il doppio rispetto al complesso dell’economia (12 %) [ISTAT – 2020]
Secondo le stime del VI Rapporto dell'Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL (novembre 2022), nel 2021 sono stati circa 230 mila i lavoratori impiegati irregolarmente in agricoltura, e di questi 55 mila sono donne. Il lavoro agricolo subordinato non regolare è particolarmente accentuato in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio con tassi che superano il 40%, ma anche nel Centro-Nord si trovano diffuse irregolarità, un fenomeno quello del lavoro irregolare nei campi che si mostra in ulteriore crescita rispetto alle 180 mila unità indicate nel rapporto precedente in base a una stima prudenziale.
Il quadro normativo
Tavolo caporalato
Azioni e progetti
Indagine conoscitiva
Piano triennale 2020-2022
Relazione al Parlamento sul primo anno di attuazione del Piano triennale
Studi e ricerche
Linee-Guida identificazione, protezione, assistenza vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura