"In tema di successione di leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell'ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con d.l. n. 113 del 2018, convertito con la l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dall'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per "casi speciali" previsto dall'art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge".
È questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione – Sezioni Unite – con la sentenza n. 29459 depositata il 13 novembre scorso.
Le Sezioni Unite hanno così risolto il contrasto giurisprudenziale relativo alla immediata applicazione o meno delle norme del Decreto sicurezza che hanno abrogato la disposizione che consentiva anche alle Commissioni territoriali di riconoscere al richiedente asilo la protezione umanitaria, in caso di insussistenza dei presupposti per concedere la protezione internazionale.
La Corte ha quindi confermato la possibilità per tutte le persone che avevano fatto richiesta di protezione internazionale prima del 5 ottobre 2018, giorno dell'entrata in vigore del decreto, di potersi vedere riconoscere la vecchia protezione umanitaria, con diritto al rilascio, se riconosciuta la tutela umanitaria, ad un permesso di soggiorno "casi speciali", di durata biennale e convertibile in lavoro alla sua scadenza.
Quanto ai presupposti della protezione umanitaria, le Sezioni Unite hanno confermato l'orientamento cui era giunta la Cassazione con la sentenza n. 4455/2018 (seguita da moltissime altre), che ha valorizzato, ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, il livello di integrazione sociale raggiunta dal richiedente in Italia, affermando tuttavia la necessità di compararlo con il rischio di violazione dei diritti fondamentali in caso di rientro nel Paese di origine. Diritti che non costituiscono un catalogo chiuso bensì aperto.
La sentenza 29459 delle Sezioni Unite riafferma quindi il seguente principio di diritto: "In tema di protezione umanitaria, l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza".
La Corte ha chiarito quindi che il solo dato di essersi inseriti socialmente e economicamente nella società italiana non è sufficiente per dare ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari: occorre comparare il livello di integrazione raggiunto con la «specifica compromissione» dei diritti umani nel paese di origine di chi richiede il permesso di soggiorno per motivi umanitari.