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Anche un contratto di lavoro a tempo determinato può provare l'effettiva integrazione in Italia
07 settembre 2022
Anche un contratto di lavoro a tempo determinato può provare l'effettiva integrazione in Italia
La Cassazione riconosce che la seria intenzione di integrazione può desumersi anche da certificati scolastici attestanti una buona padronanza della lingua italiana
La frequentazione certificata dei corsi di lingua italiana oppure la presenza di un contratto di lavoro, seppur a tempo determinato, sono indice di un a seria intenzione di integrazione da tenere in debita considerazione quando si tratta di decidere se concedere o meno un permesso di soggiorno ad un migrante che non abbia diritto alla protezione internazionale
. È quanto ha ribadito la prima sezione della la
Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 26089 depositata il 5 settembre scorso
, con la quale è stato consolidato un orientamento già affermato dalla Corte in altre recenti sentenze (
24413/2021
;
7396/2021
; 16369/2022). La sentenza è importante perché riconosce che anche un contratto a tempo determinato può essere indice di un effettivo inserimento sociale in Italia “non potendosi pretendere dal cittadino straniero un contratto di lavoro a tempo indeterminato proprio quando tale obiettivo presenta difficoltà non irrilevanti anche per i cittadini del paese ospitante”.
La sentenza fa riferimento ai
permessi di soggiorno per motivi umanitari
che venivano rilasciati ai sensi all’articolo 5, comma 6, del Testo Unico sull’immigrazione (TUI), permessi che
il DL n. 113/2018
ha tuttavia
abrogato
come categoria aperta, sostituendoli con una
serie tipizzatata di “speciali” permessi di soggiorno temporanei
per esigenze di carattere umanitario. Il
decreto legge 21 ottobre 2020 n. 130
, con il quale sono stati modificati i cd decreti sicurezza, ha confermato la scelta della tipizzazione rispetto alla fattispecie della protezione umanitaria “a catalogo aperto” di cui all’art. 5 comma 6, pur riprestinando il principio «del rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali da parte dell’Italia». Le nuove norme hanno anche previsto una
nuova fattispecie di divieto di espulsione
dello straniero – e conseguentemente il diritto al rilascio del
permesso di soggiorno per protezione speciale
– anche nell’ipotesi in cui l’allontanamento dal territorio nazionale possa comportare la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare della persona, salvo ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica, con espressa indicazione degli indici da considerare a tal fine – e cioé: a) la natura e l’effettività dei vincoli familiari; b) l’effettivo inserimento sociale in Italia; c) la durata del soggiorno nel territorio nazionale; d) l’esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il Paese d’origine (art. 19, comma 1.1, TUI).
Il principio affermato dalla Cassazione, pur riferendosi a norme non più in vigore, appare tuttavia importante anche ai fini dell’interpretazione dei nuovi indici di integrazione.
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