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17 marzo 2021

Covid-19, Iss: Migranti più a rischio degli italiani


Diagnosi ritardate conseguenze più gravi anche per le barriere all’accesso all’assistenza sanitaria 

Condizioni di vita e di lavoro, ma anche barriere all’accesso all’assistenza sanitaria, rendono il rischio di morbosità e mortalità da Covid-19 più alto tra i migranti che tra gli italiani. È quanto emerge da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicato sul numero di febbraio dello European Journal of Public Health, che ha analizzato 213.180 casi di COVID-19 diagnosticati in Italia tra il 20 febbraio e il 19 luglio 2020, che comprendevano 15.974 (7,5%) cittadini non italiani.

È emerso che i casi non italiani sono stati diagnosticati circa due settimane dopo rispetto ai casi italiani e che il ritardo arriva a quattro settimane per i migranti provenienti da Paesi con un basso Human Development Index (HDI). Diagnosi meno tempestive significano malattia in stato più avanzato e con sintomi più gravi, come sembrano confermare i dati sui ricoveri, più probabili tra gli stranieri, anche in terapia intensiva, e con differenze più pronunciate in coloro che provengono da Paesi con basso HDI.

Anche il rischio di morte risulta più alto nei pazienti provenienti da Paesi a basso HDI rispetto a quelli italiani, sebbene questa differenza non sia stata osservata nei casi che hanno richiesto il ricovero. In generale, spiega l’ISS, “è stato osservato un gradiente inverso in base al quale il rischio di ospedalizzazione, ricovero in terapia intensiva e morte aumentava al diminuire dell'HDI del Paese di origine”.

"Sebbene in Italia a tutti i cittadini stranieri è consentito l'accesso ai servizi di emergenza e ad alcuni servizi ambulatoriali - scrive l’ISS sul suo sito presentando l’articolo - l'accesso a servizi aggiuntivi, compresa l'assegnazione a un medico di base (il più probabile mediatore per la diagnosi precoce) avviene solo in presenza di uno status documentato. Ulteriori barriere, linguistiche, amministrative, legali, culturali e sociali, possono ostacolare il rapido accesso ai servizi sanitari, portando probabilmente a una diagnosi ritardata”.

I ritardi nelle diagnosi, altra ipotesi dei ricercatori, potrebbero essere dovuti anche al timore dei diretti interessati di finire in isolamento/quarantena con le conseguenze che questo comporta sull’attività lavorativa. Proprio il mancato isolamento, in assenza di una diagnosi tempestiva, avrebbe mantenuto più alta la circolazione del virus nelle comunità straniere anche durante le misure di lockdown estese a tutta la popolazione.

“È fondamentale ricordare – conclude l’ISS - che garantire e favorire ai cittadini stranieri l'accesso precoce alla diagnosi e al trattamento, così come l’accesso alla vaccinazione anti-COVID-19, potrebbe facilitare il controllo della trasmissione della SARS-CoV-2 e migliorare gli esiti di salute in tutte le persone che vivono nel Paese, indipendentemente dalla nazionalità”

Epidemiological characteristics of COVID-19 cases in non-Italian nationals notified to the Italian surveillance system