Con l’ordinanza del 24 marzo 2023, la Corte di Cassazione- sezione lavoro, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000 ritenendo che la subordinazione del beneficio dell’assegno sociale, al possesso del permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo, violerebbe i vincoli costituzionali e quelli derivanti dall’ordinamento comunitario che l'Italia è tenuta a rispettare.
L' assegno sociale è una prestazione di carattere assistenziale che prescinde del tutto dal versamento dei contributi e spetta ai soggetti che si trovino in condizioni economiche disagiate ed abbiano situazioni reddituali particolari previste dalla legge (siano sprovvisti di reddito o abbiano un reddito non superiore all’importo annuo dell’assegno). Per legge hanno diritto all’assegno sociale i cittadini italiani, comunitari o stranieri in possesso di un permesso per lungo soggiornati, che abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di età e risiedano in Italia da almeno dieci anni.
Il giudizio nel cui ambito sono stati sollevati i dubbi di costituzionalità, muove dal ricorso presentato da un cittadino albanese regolarmente soggiornante in Italia con un permesso per motivi familiari, ovvero un tipo di permesso che abilitando al lavoro rientra tra i “permessi unici lavoro”. La domanda per il riconoscimento dell’assegno sociale, respinta in primo grado in quanto lo straniero non risultava titolare di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, era stata successivamente accolta dalla Corte di Appello di Firenze, ritenendo i giudici superata la necessità di tale requisito, per effetto della modifica introdotta dal DL 112/08. Contro tale decisione l’Inps ha proposto ricorso per Cassazione, rilevando come il requisito della residenza decennale in Italia, introdotto dal DL 112/98, sia aggiuntivo e non sostitutivo a quello del possesso del permesso di soggiorno Ue per lungo soggiornanti previsto dall’art. 80 della legge 388/00.
La Corte di Cassazione, pur concordando con la tesi dell’Istituto previdenziale circa la necessità, per legge, di entrambi i requisiti (ovvero residenza decennale e permesso per lungo soggiornanti), così come già riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 50/2019, ha, tuttavia, deciso di rimettere nuovamente la questione al giudice delle leggi, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali emersi e consolidatisi negli ultimi anni e dei chiarimenti sulla corretta interpretazione dell’articolo 12 della direttiva 2011/98/UE forniti dalla Corte di Giustizia Ue.
In particolare, i giudici ricordano che la Corte di Giustizia recentemente ha chiarito come anche prestazioni del tutto estranea alla condizione di lavoratore, come l’assegno di natalità e l’assegno di maternità, rientrano nei settori della sicurezza sociale elencati all’articolo 3, paragrafo 1 del regolamento n. 883/2004 (a cui l’articolo 12 della direttiva UE rinvia), per i quali i cittadini di paesi terzi beneficiano del diritto alla parità di trattamento. (Sentenza CGUE del 2.9.2021, C-350/2020). L’assegno sociale - evidenzia la Cassazione - è stato incluso dall’Italia nell’allegato X, cioè in quell’allegato cui si riferisce l’art. 70 del Regolamento 883/04, a sua volta richiamato dall’art. 3 del regolamento stesso, a sua volta richiamato dal citato art. 12 della direttiva. Anche tale prestazione rientrerebbe quindi nell’ambito di applicazione ratione materiae del Regolamento 883/04 e dunque della direttiva.
Sulla questione dovrà ora pronunciarsi la Corte Costituzionale.
Corte di Cassazione ordinanza del 24 marzo 2023