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11 novembre 2021

Lavoratori domestici, meno stranieri e sempre più anziani


L'aumento del 2020 non compensa le perdite degli ultimi dieci anni. Assindatcolf e Idos: "A rischio l'assistenza familiare"

Sebbene nell’ultimo anno il numero dei lavoratori domestici stranieri sia complessivamente cresciuto del 5,3% anche per effetto dell’ultima procedura di emersione (passando dalle 601.223 unità del 2019 alle 633.122 del 2020), dal 2012 ad oggi si sono ‘persi’ complessivamente circa 189mila addetti stranieri. Un trend che, seppure parzialmente compensato dalla crescita degli italiani (+12,8% nell’ultimo anno), rischia di creare pesanti ricadute sul futuro dell’assistenza a domicilio, essendo quello domestico un comparto basato in prevalenza sulla forza lavoro immigrata, che rappresenta il 68,8% del totale.

È quanto segnala Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico, che oggi, insieme al Centro Studi e Ricerche Idos, ha presentato i dati sul comparto domestico contenuti nel Dossier Statistico Immigrazione 2021.

Altro alert contenuto nel dossier è il progressivo invecchiamento della forza lavoro nel settore domestico, che riguarda in particolare proprio la componente straniera: ad oggi gli over 50 rappresentano il 65,8% tra gli stranieri, contro il 34,2% degli italiani. E se da una parte l’avanzare dell’età porterà, nel giro di un decennio, oltre 480mila domestici, tra quelli oggi in forza ad andare in pensione (260mila, di cui 175mila stranieri) o ad avvicinarsi a quella soglia (220mila, di cui 144mila stranieri), dall’altra parte i dati degli ultimi anni dimostrano come a questo fenomeno non corrisponda un fisiologico ricambio generazionale. Tale considerazione è valida non solo per gli under 30, la cui presenza dal 2012 al 2020 è calata del 61%, ma anche per i lavoratori tra i 30 e i 39 anni, che nello stesso periodo sono crollati del 47%, e per quelli nella fascia di età 40-49 anni, scesi del 18%.

“Con il graduale invecchiamento della forza lavoro, - dichiara il Presidente di Assindatcolf, Andrea Zini - il mancato ricambio generazionale e la chiusura dei canali di ingresso regolari per i cittadini extracomunitari a cui ormai assistiamo da anni e che la pandemia ha praticamente bloccato, rischiamo nel prossimo futuro di non avere personale a sufficienza che assista i nostri anziani, i bambini e che si prenda cura delle nostre case. A pagarne il conto più grande potrebbero essere le donne, sulle quali ancora ricade la maggior parte del lavoro di cura, in un momento storico in cui, al contrario, anche grazie ai fondi del Pnrr si punta sull’empowerment femminile. Per questo chiediamo misure urgenti per il comparto, a cominciare da quelle fiscali, come la deduzione del costo del lavoro domestico. Servono investimenti sulla formazione per rendere più appetibile il settore anche per i giovani, ma soprattutto è necessario tornare ad una programmazione dei flussi di ingresso con quote dedicate al lavoro domestico calcolate sul reale fabbisogno delle famiglie”.

“Nel 2020 – afferma Luca Di Sciullo, Presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – l’Italia ha conosciuto il numero più basso di nascite dall’Unità d’Italia, appena 404.000, e il un numero di morti paragonabile a un dopoguerra, 746.000. Al tempo stesso, da 12 anni restano chiusi i canali regolari di ingresso per giovani lavoratori dall’estero, anche in comparti di attività dalla domanda crescente, come appunto quello domestico, e per settori economici in crisi di manodopera. Nel frattempo continuiamo a impiegare poco e male la forza lavoro straniera già presente, peraltro crollata di 160.000 unità nell’anno della pandemia. In poche parole: il Paese invecchia drasticamente e noi, per ragioni puramente ideologiche, ne impediamo il necessario ringiovanimento e ricambio delle leve produttive attraverso l’apporto che l’immigrazione potrebbe vitalmente già offrire, se solo fosse gestita anche solo più pragmaticamente. Quel che sta avvenendo nel comparto domestico è paradigmatico di una situazione generale che dovrebbe interpellare i decisori politici, richiamandone la responsabilità verso l’intero sistema Paese”.