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Mediazione interculturale - il Quadro Nazionale

La disciplina della professione di mediatore interculturale rientra, in generale, nell’ambito della materia “professioni”, di competenza regionale concorrente (art. 117, comma 3, Cost.).
Secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale “la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale” (si veda la sentenza n. 93 del 2008 e la sentenza n. 424 del 2005).
In questo quadro anche “l'istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l'iscrizione ad esso hanno, già di per sé, una funzione individuatrice della professione, preclusa alla competenza regionale” (sentenze n. 300 e n. 57 del 2007 e n. 355 del 2005).
Secondo tali previsioni, dunque, l’individuazione della figura professionale di mediatore interculturale e degli standard minimi di competenza, l’istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l’iscrizione a esso rientrano nell’ambito delle materie di competenza esclusiva dello Stato.
Resta ferma la competenza delle Regioni per quanto attiene la definizione dei percorsi formativi in termini di contenuti e di metodologie didattiche, la certificazione delle competenze e la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.

Al riguardo si segnala che ai sensi dell’art. 52 del Decreto Legislativo n. 276/2003 è stato istituito un repertorio delle professioni, allo scopo di armonizzare le diverse qualifiche professionali. Il repertorio è istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ed è predisposto da un apposito organismo tecnico di cui fanno parte il Ministero dell'Istruzione, dell’Università e della Ricerca, le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni. Il profilo del "mediatore culturale" è disponibile sul sito Isfol Orientaonline.
Le esperienze regionali in materia di mediazione interculturale forniscono, infine, preziose indicazioni per comprendere gli ambiti di intervento e le esigenze alle quali la professione di mediatore interculturale può fornire una risposta.

Quadro normativo nazionale
La mediazione interculturale, quale strumento per favorire l’integrazione degli stranieri sul territorio e la valorizzazione delle diversità, trova riconoscimento nel d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico in materia di immigrazione). In particolare l’articolo 38, in materia di istruzione degli stranieri ed educazione interculturale, prevede che con apposito regolamento saranno adottate le disposizioni relative ai “criteri per il riconoscimento dei titoli di studio e degli studi effettuati nei Paesi di provenienza ai fini dell’inserimento scolastico, nonché dei criteri e delle modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori culturali qualificati”. Il regolamento di attuazione del Testo unico (art. 45 D.P.R. n. 394/1999) ha poi affidato al collegio dei docenti la formulazione delle proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la scuola e le famiglie degli alunni stranieri, anche attraverso l’opera dei mediatori culturali qualificati.
Inoltre, secondo quanto previsto dall’articolo 42 del Testo unico, le misure di integrazione sociale saranno favorite “dalla realizzazione di convenzioni con associazioni regolarmente iscritte nel registro di cui al comma 2 per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi”.

L’importanza della mediazione interculturale nei processi di integrazione è ribadita dal Piano per l’Integrazione nella Sicurezza del 2010, in particolare con riferimento all’Asse II (Lavoro) e all’Asse IV (Servizi Essenziali). Nel contesto delle politiche attive del lavoro a sostegno della popolazione straniera, il Piano per l’Integrazione prevede la necessità di riqualificare la rete pubblica e privata dei servizi per il lavoro, tra l’altro attraverso la presenza di mediatori linguistici e culturali (pagg. 14-15). Per quanto attiene ai servizi essenziali, il Piano per l’Integrazione pone in rilievo l’opportunità di “servirsi di mediatori stranieri, persone cioè che si sono integrate a pieno in Italia e che possono aiutare nel percorso di integrazione i nuovi immigrati” (Pag. 18). Da ultimo, il documento rileva la necessità di far rientrare la mediazione interculturale nell’ambito dei servizi socio-sanitari-assistenziali offerti, “anche attraverso l’assunzione di personale straniero che si è già integrato in Italia” (pag. 19).

Il tema della mediazione interculturale è, inoltre, ricompreso in ambiti legislativi peculiari di alcune aree specifiche, dove la presenza dei mediatori interculturali è concepita quale strumento utile a garantire l’efficienza e l’efficacia delle disposizioni.
La presenza dei mediatori interculturali è prevista, in primo luogo, in ambito educativo e scolastico, quale strumento di supporto al ruolo educativo della scuola. Muovendo da tali premesse, con Circolare n. 24/2006, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha definito i compiti della figura professionale, indicando le seguenti aree di intervento: accoglienza degli alunni stranieri, facilitazione del rapporto tra la scuola e le famiglie, agevolazione della comunicazione, orientamento scolastico e promozione dell’educazione interculturale, valorizzazione della lingua e della cultura di origine degli alunni stranieri.

Disposizioni aventi a oggetto il ruolo del mediatore interculturale si rinvengono anche nella normativa in materia sanitaria, dove riguardano sia la formazione di mediatori specializzati, sia la presenza degli stessi nelle strutture ospedaliere al fine di facilitare la rimozione delle barriere socio-culturali e l’accesso all’assistenza sanitaria. In quest’ambito, particolarmente significativa è la presenza dei mediatori interculturali nei contesti socio-sanitari che operano con le comunità di immigrati provenienti dai Paesi con tradizioni escissorie (si vedano la L. n. 7/2006 e il Decreto del Ministero della Salute del 17 dicembre 2007).
Similmente accade nelle norme aventi a oggetto il tema dell’inserimento lavorativo delle popolazioni straniere e le politiche rivolte all’integrazione dei minori stranieri e delle seconde generazioni.
Nonostante i riferimenti contenuti nella normativa in materia di immigrazione e integrazione dei cittadini stranieri richiamino in maniera puntuale le attività di mediazione interculturale, a livello nazionale manca una legislazione organica che definisca la professione di mediatore interculturale.
Al fine di colmare tale lacuna legislativa è stato istituito un gruppo di lavoro interistituzionale coordinato dal Ministero dell’Interno che, al termine dei lavori, nel dicembre del 2009, è giunto all’individuazione delle Linee di indirizzo per il riconoscimento della figura professionale del mediatore interculturale. Tale documento, pur non avendo validità normativa, offre una sintesi del quadro legislativo istituzionale e delle esperienze in atto sul territorio nazionale, ponendosi come riferimento sia per la definizione delle politiche regionali, sia per la futura normazione della materia.

Con il documento 09/030/CR/C9 dell'8 aprile 2009, inoltre, in sede di Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, gli organi territoriali sono giunti ad una definizione condivisa della figura del mediatore interculturale, stabilendo linee di indirizzo comuni in riferimento alle aree di attività, alle competenze e al ruolo.
In questo contesto, si porta all’attenzione il documento del CNEL Mediazione e mediatori culturali: indicazioni operative (pubblicato il 29 ottobre 2009) che propone, per la formazione di base del mediatore interculturale, un monte ore complessivo di almeno 600 ore, che dovrebbero riguardare la comunicazione, la normativa e l'organizzazione dei servizi. Il documento sottolinea anche l'esigenza di contemplare un'articolazione di moduli disciplinari per settori, secondo gli ambiti di impiego.

È importante, infine, richiamare il sostegno offerto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali alla realizzazione del Progetto Pass confluito nella creazione, in data 15 dicembre 2010, dell’Associazione Nazionale MEDIATIS ONLUS, una rete nazionale di mediatori interculturali con formazione in ambito socio-sanitario.

Mediazione interculturale e protezione internazionale
Le Direttive Europee sulla protezione internazionale non menzionano esplicitamente il tema della mediazione interculturale. Nelle tre direttive cardine del sistema (relative alle qualifiche, alle procedure e all’accoglienza) non viene, infatti, mai citata la figura del mediatore interculturale, mentre viene presa in considerazione la figura dell’interprete. Quest’ultima è considerata uno strumento per il superamento della barriera linguistica in funzione dell’esercizio dei diritti e dell’accesso alle procedure da parte del richiedente e del titolare di protezione internazionale. L’obiettivo è che i soggetti comprendano le informazioni necessarie e abbiano la possibilità di esprimersi in tutte le fasi della procedura di riconoscimento della protezione.

L’art. 22 della direttiva “Qualifiche” 2011/95/UE stabilisce, in particolare, che “gli Stati membri forniscono ai beneficiari di protezione internazionale, quanto prima a seguito del riconoscimento dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria, in una lingua che essi capiscono o è ragionevole supporre possano capire, l’accesso a informazioni sui diritti e gli obblighi previsti dallo status di protezione loro applicabile”. Nella direttiva “Procedure” 2013/32/UE, all’art. 12, si specifica che “il richiedente è informato, in una lingua che capisce o che è ragionevole supporre possa capire, della procedura da seguire e dei suoi diritti e obblighi durante il procedimento, nonché delle eventuali conseguenze di un mancato adempimento degli obblighi e della mancata cooperazione con le autorità”. Lo stesso art. 12 sancisce che “il richiedente riceve, laddove necessario, l’assistenza di un interprete per spiegare la propria situazione nei colloqui con le autorità competenti” e inoltre che “il richiedente è informato dell’esito della decisione dell’autorità accertante in una lingua che capisce o che è ragionevole supporre possa capire”. Nei criteri applicabili al colloquio personale, all’art. 15, viene stabilito che gli Stati membri “selezionano un interprete idoneo a garantire una comunicazione appropriata fra il richiedente e la persona incaricata di condurre il colloquio. Il colloquio si svolge nella lingua prescelta dal richiedente, tranne se esiste un’altra lingua che capisce e nella quale è in grado di comunicare chiaramente”.
Per ciò che concerne l’accoglienza, la Direttiva 2013/33/UE, all’art. 5 (dedicato all’informazione), prevede che gli Stati membri informino i richiedenti di qualsiasi beneficio riconosciuto e degli obblighi loro spettanti in riferimento alle condizioni di accoglienza, e che queste informazioni “siano fornite per iscritto e in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile. Se del caso, tali informazioni possono anche essere fornite oralmente”. Anche quando viene affrontato il tema dell’eventuale trattenimento dei richiedenti protezione si specifica, all’art. 9, che le informazioni delle ragioni del trattenimento e relative al diritto di difesa avvengano “immediatamente per iscritto, in una lingua che essi comprendono o che ragionevolmente si suppone a loro comprensibile”. All’art. 10, infine, si stabilisce che “gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti trattenuti siano sistematicamente informati delle norme vigenti nel centro e dei loro diritti e obblighi in una lingua che essi comprendono o che ragionevolmente si suppone a loro comprensibile”.
Più specificamente sul tema del trattenimento, nella normativa italiana (regolamento di cui al D.P.R. n. 303/2004, art. 7, sui Centri di identificazione) è previsto che venga garantito “un servizio di interpretariato, per almeno quattro ore giornaliere, per le esigenze connesse al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato ed in relazione ai bisogni fondamentali degli ospiti del centro”.
La mediazione interculturale è uno strumento presente in modo significativo nell’ambito dei servizi rivolti ai richiedenti/titolari di protezione internazionale, anche se i riferimenti normativi espliciti non sono numerosi.

Nell’ordinamento italiano in materia di protezione internazionale la mediazione interculturale viene espressamente citata dal Decreto del Ministero dell'Interno del 22 luglio 2008, contenente le linee guida per la presentazione delle domande di contributo per il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. All’allegato A, fra gli standard cui si devono attenere gli enti locali per poter accedere al fondo per l’attivazione di un progetto Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati), è prevista la mediazione linguistico interculturale: “Gli enti locali hanno l’obbligo di garantire la mediazione linguistico interculturale al fine di favorire i percorsi di inserimento lavorativo, alloggiativo e socio-culturale”.
Sempre rispetto all’accoglienza e all’integrazione occorre, infine, menzionare quanto previsto dal Manuale operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza e integrazione per richiedenti e titolari di protezione internazionale pubblicato dal Servizio Centrale dello Sprar. Fra i servizi che deve garantire un progetto territoriale c’è anche la mediazione linguistica e interculturale (pag. 4). Quando viene definita la presenza nei progetti di una équipe interdisciplinare, oltre all’assistente sociale e/o psicologo, all’educatore professionale e all’operatore legale e/o avvocato è prevista anche la figura del mediatore interculturale e linguistico. Questi “è importante soprattutto per facilitare la costruzione di rapporti tra il beneficiario, l’operatore e il contesto territoriale. L’impiego del mediatore è centrale al momento dell’arrivo del beneficiario nel centro e soprattutto nelle situazioni in cui il beneficiario stesso si trova a relazionarsi con le istituzioni (dalla scuola alla questura, ai servizi socio-sanitari), nonché in tutti quei momenti in cui è fondamentale che per tutti i soggetti coinvolti (beneficiario, operatore, istituzioni/servizi) sia necessario capire le posizioni reciproche e arrivare a un accordo” (pag. 19). Nelle singole fasi di accoglienza di un beneficiario del progetto l’ausilio del mediatore è espressamente previsto al momento dell’ingresso nel progetto, quando viene sottoscritto il contratto di accoglienza e nell’accesso all’assistenza sanitaria.