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"Taxi Teheran" di Jafar Panahi

La prospettiva è quella del cruscotto di un Taxi di Teheran sul quale si alternano personaggi "catturati" nel loro vivere quotidiano. In un sottile gioco di finzione cinematografica nel quale emerge a tratti una realtà esterna che è però anch'essa parte del "trucco filmico", il regista Jafar Panahi, per l'occasione tassista, racconta in Taxi Teheran (2015) la delicata situazione del suo Paese, l'Iran (Repubblica Islamica dell'Iran), attraverso le testimonianze "casuali" dei passeggeri del suo taxi.

Un fautore della pena capitale per dissuadere ladri e criminali; una maestra d'asilo, al contrario, molto polemica a riguardo; un venditore di dvd di film stranieri – illegali in Iran – che, avendo riconosciuto il celebre regista – sempre nella finzione cammuffatasi in realtà –, si fa bello davanti ai suoi clienti; una moglie che tiene fra le braccia il marito morente che vuole gli sia fatto un video per fare testamento (e lasciare l'eredità alla moglie che per legge non e avrebbe diritto); due signore anziane che devono assolutamente arrivare entro mezzogiorno al fiume per un voto fatto; un amico di Panahi che sa chi è stato a derubarlo e malmenarlo ma non ha il coraggio di metterlo nei guai con la severa giustizia iraniana; "la signora delle rose" che, oppositrice come lo stesso Panahi, sa cosa significa non sentirsi liberi nel proprio Paese. Questi i passeggeri di un improvvisato Panahi taxista che spesso deve chiedere ad altri indicazioni stradali o addirittura trasferire i suoi clienti in altri taxi.

Protagonista femminile del film è la piccola nipote del regista impegnata nella realizzazione di un cortometraggio per la scuola, il cui unico vincolo è l'essere distribuibile – ovviamente secondo i parametri della legge iraniana. Inizia così un dialogo tra zio e nipote su cosa sia un film distribuibile, poco nascosta allusione al divieto imposto nel 2010 al regista di dirigere, scrivere e produrre film, oltre che viaggiare e rilasciare interviste sia all’estero che all'interno dell'Iran, per 20 anni. Probabilmente per aver dato spazio nelle sue pellicole a quel "sordido realismo" su cui il governo, evidentemente, non vuole si discuta troppo.

Taxi Teheran, girato quindi in clandestinità tutto all’interno di un taxi, è l'ennesimo atto di protesta di Panahi per affermare la libertà di pensiero dell'individuo e denunciare oppressione e superstizione che vigono nel suo Paese. Un affresco regalato a tutto il mondo, perché questi sappia cosa sta succedendo e perché si interroghi sul senso.

Il 14 febbraio 2015 Taxi Teheran si aggiudica l’Orso d’oro al 65° Festival Internazionale del cinema di Berlino.