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"Mare chiuso" di Stefano Liberti e Andrea Segre

Ripercorrere i viaggi di alcuni tra gli oltre 2.000 migranti che tra il 2009 e il 2010 cercarono di raggiungere l'Italia dal Mediterraneo, tuffandosi nei loro occhi e ascoltando le loro storie: è la possibilità che Andrea Segre e Stefano Liberti offrono con Mare chiuso (2012), film documentario che hanno costruito raggiungendo alcuni sopravvissuti nel campo UNHCR Shousha in Tunisia, luogo in cui riuscirono a rifugiarsi dopo la caduta di Gheddafi del 2011, per intervistarli e ripercorrere le loro storie.

Sono soprattutto eritrei, somali, etiopi e libici e sapevano che un viaggio di tre giorni in mare aperto, in un'imbarcazione precaria affidata al timone di persone inesperte, sarebbe stato molto pericoloso. Ma il desiderio di allontanarsi dai luoghi di guerra e di miseria era più grande della paura. Inoltre, essendo molto costoso, non tutti quelli che avrebbero voluto partire poterono farlo, addirittura c’è chi fu costretto a far imbarcare soltanto la moglie incinta di nove mesi, non sapendo se un giorno avrebbe potuto rivederla.

I migranti partirono e nonostante i pericoli erano felici, speranzosi, la loro vita stava per cambiare. Non avevano fatto i conti però con le nuove politiche italiane frutto degli accordi tra Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, e il colonnello Gheddafi, leader libico: i cosiddetti respingimenti. Nella fattispecie respingimenti in mare aperto anche in acque internazionali.

Le imbarcazioni di migranti provenienti dalle coste africane venivano così sistematicamente intercettate dalle forze dell'ordine italiane e ricondotte in Libia, contro il volere dei migranti e senza spiegar loro cosa stesse succedendo. I migranti intervistati da Segre e Liberti raccontano anche di esser stati lasciati senza soccorsi né cibo per molto tempo in mare, costretti a bere le proprie urine per non bere l'acqua del mare, che aveva già causato tante vittime.

Una volta fatti tornare in Libia, i migranti sopravvissuti al viaggio raccontano di essere stati incarcerati dalle forze dell'ordine libiche e di aver subito maltrattamenti e torture ingiustificabili. C'è chi, sapendo a cosa stava andando incontro, ha cercato di buttarsi in mare pur di non dover soccombere a questo destino.

Andrea Segre e Stefano Liberti hanno voluto denunciare l'effetto devastante che alcune scelte politiche, che pure trovarono un largo consenso nel Paese (il trattato sottoscritto da Berlusconi e Gheddafi è stato ratificato dal Parlamento italiano nella quasi sua totalità), hanno avuto sulla vita di moltissime persone. La censura di molti media, a cui si è aggiunta successivamente la condanna nel 2012 dalla Corte Europea di Strasburgo, determinarono poi un cambiamento. Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, è stato violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. Il nostro Paese è stato condannato a versare un risarcimento di 15.000 euro in aggiunta alle spese a 22 delle 24 vittime.

Gli sguardi commossi e le parole tremanti di chi ha vissuto queste vicende, più degli articoli e dei libri, dà la misura di quello che è successo, di quello che molti non hanno voluto vedere o hanno ignorato (anche in ragione di una non adeguata informazione da parte dei media).

Mare chiuso, oltre ad essere un valido documentario, è un documento prezioso per tutti quelli che di questo episodio della storia italiana e mondiale preferiscono sentir parlare chi l’ha vissuto direttamene.

Nel 2012 il documentario ha vinto il Premio De Seta al Bif&st di Bari, consegnato dal presidente di giuria Gianni Minà.