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"Timbuktu" di Abderrahmane Sissako

Una recensione al film che racconta la delicata situazione del Mali
Timbuktu è un film del 2015 diretto dal regista mauritano Abderrahmane Sissako ambientato in Mali, in Africa Occidentale. La vicenda si svolge a Timbuctù – città controllata dagli jhiadisti – e nelle sue vicinanze dove il tuareg Issan vive con la moglie Satima, la figlia Toya e il pastorello Issan. Un giorno una sua mucca sfugge al controllo del pastorello e rompe le reti del pescatore Amadou, che la uccide. Kidan, come è facile immaginare, non la prenderà bene e andrà dal pescatore per chiedere spiegazioni innescando una sere di eventi drammatici.

La storia di Kidan e la sua famiglia, che rappresentano assieme ad altri personaggi una comunità di islamici moderati, si staglia su un orizzonte di paura generato dalle regole imposte dagli estremisti religiosi. L’intento del regista è quello di mostrare al mondo, in particolare al mondo occidentale, cosa sta succedendo in alcune zone africane a causa dell’estremismo religioso, e come la maggior parte delle persone siano costrette a subire imposizioni quando in realtà vorrebbe solo vivere pacificamente. Inoltre il Mali è uno dei 25 Paesi più poveri al mondo, il che non sempre garantisce alla popolazione un degno tenore di vita – un abitante su tre vive sotto la soglia di povertà.

La situazione politica oggi, nonostante il silenzio dei media italiani, non è affatto stabile. Attentati contro civili e operatori Onu continuano a essere compiuti dai separatisti tuareg e dai fondamentalisti islamici. Il governo democratico eletto nel luglio 2013, il cui presidente è Ibrahim Boubakar Keita, risponde duramente a queste minacce venendo però spesso accusato di violazione dei diritti umani. Alcune trattative di pace sono state avviate nell’autunno 2014 con la mediazione del governo algerino, il quale ha proposto un accordo a governo e tuareg, ma senza successo, dal momento che non prevede il riconoscimento politico e giuridico dell’Azawad, obiettivo dei tuareg. È per questo che il Mali di oggi è attanagliato da una guerra civile fra tre fazioni: il governo di Bamako (la capitale), i tuareg e i jihadisti vicini ad al-Qaeda.

Tale situazione non può non farci riflettere sul fenomeno delle migrazioni che coinvolge flussi di cittadini di diversi stati africani verso l’Europa. Gli abitanti del Mali, nella fattispecie, privati della pace e delle libertà fondamentali, in assenza delle risorse primarie per sopravvivere, decidono sempre più frequentemente di intraprendere un lungo viaggio di migliaia di chilometri verso le nostre coste con l’unico intento di migliorare le proprie condizioni (e ovviamente di non morire a causa della guerra), rischiando consciamente, spinti dalla disperazione, la loro stessa vita sotto il sole del deserto o tra le onde del mare.