Sono 834 le inchieste avviate sullo sfruttamento dei lavoratori dall’approvazione della legge 199 del 2016, conosciuta come “legge anticaporalato”.
Il dato emerge dal V Rapporto elaborato dal Centro di ricerca interuniversitario l’Altro Diritto, insieme all’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil. Il Laboratorio è nato nel 2018, con l’obbiettivo di esaminare la dimensione del fenomeno dello sfruttamento lavorativo, analizzando la capacità di emersione della legge 199/2016 e l’ efficacia degli strumenti di protezione delle vittime. Sin dall’approvazione della legge, il Laboratorio si è proposto di analizzare non tanto la giurisprudenza in merito al nuovo reato, ma soprattutto l’attività inquirente delle Procure che normalmente, non solo per questo reato, non è oggetto di analisi sistematica.
Grazie alla partecipazione di numerose Procure – a oggi 66 su 140 – è stato possibile uno studio accurato della configurazione giuridica del fenomeno dello sfruttamento, tramite l’acquisizione degli atti processuali
Dalla ricerca emerge un forte aumento negli anni delle inchieste per sfruttamento lavorativo aperte dalle Procure italiane. Mentre si riduce il divario tra i casi registrati nel Mezzogiorno rispetto a quelli nel resto del Paese. La massa critica delle inchieste rilevate mostra che, al di là del ruolo delle singole Procure nel farlo emergere in modo più o meno rilevante in alcuni settori piuttosto che in altri, lo sfruttamento lavorativo è distribuito su tutto il territorio nazionale, tocca tutti i settori economici e si diffonde in pressoché tutti i comparti produttivi.
I dati contenuti nel Rapporto mostrano come la continua ricerca di atti giudiziali ha portato a individuare 376 nuovi casi di sfruttamento di cui 249 vicende relative al biennio 2022-2023 e 127 vicende relative agli anni di precedente rilevazione
A registrare il numero più elevato di inchieste per sfruttamento lavorativo è il Meridione, col 45% dei casi, seguito dal Nord col 28% e dal Centro col 27%. Ma la tendenza indica una progressiva riduzione della forbice tra i casi del Nord e del Centro con quelli del Sud Italia, almeno a partire dal 2020.
Tra i procedimenti penali per sfruttamento lavorativo che sono stati censiti, 709 in tutto, in 357 casi è stato imputato solo il datore di lavoro, in 164 casi solo il caporale, in 138 caso entrambi. Dati che confermano l’efficacia della riforma operata dalla legge 199/2016 che permette di punire le condotte dei datori di lavoro anche quando non vi è l’interposizione del caporale nel reclutamento o nella gestione della manodopera.
Dai dati del Rapporto emerge anche come lo sfruttamento non colpisce solo gli immigrati, in quanto il 14% delle inchieste vede coinvolti lavoratori italiani.
Molto importante è anche il dato relativo all’aumento delle inchieste nate da denunce dei lavoratori sfruttati. Si tratta di 33 denunce in più rispetto al precedente Rapporto, 29 relative agli ultimi due anni. E anche questo è merito della legge 199. Prima erano pochissime, poi tra il 2016 e il 2020 salgono al 10% dei procedimenti penali, fino al 18% del 2022, mentre il dato del 2023, sicuramente sottostimato, è comunque già superiore al 13%. Il Rapporto sottolinea come «i provvedimenti in cui si riscontra una denuncia dei lavoratori si concentrano in territori ove sono presenti sistemi di collaborazione tra le Procure ed altri attori o enti del territorio» che «dà ai lavoratori una prospettiva concreta di protezione e inserimento socio-lavorativo che rappresenta la molla capace a spingerli a raccontare le prevaricazioni subite».
Significativo anche il dato relativo al titolo di soggiorno dei lavoratori sfruttati. In 116 delle 338 inchieste in cui sono coinvolti cittadini stranieri, lo sfruttamento ha riguardato solo lavoratori regolari, mentre in 151 erano sia regolari che irregolari: quindi in quasi il 79% delle inchieste le vittime sono titolari di un permesso di soggiorno. Di queste ben 114 (il 42%) coinvolgono cittadini stranieri il cui permesso è per richiesta di protezione internazionale o rilasciato per ragioni umanitarie. Questo dato, sottolinea il Rapporto, «conferma la tendenza a quella che è stata definita “profughizzazione” dello sfruttamento lavorativo».
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